Quando hai deciso di dedicarti al mondo del travel?
Inizi anni 90. È iniziato per gioco, con un amico. Io venivo da tutt’altro settore, quello della vendita dei prodotti agroalimentari. Portavo avanti una sorta di tradizione familiare. In quel periodo un amico mi chiese un aiuto, visto anche il ruolo da commerciale che svolgevo nel mio lavoro. L’amico mi coinvolse come un account. Non ne sapevo niente di turismo e travel. Tuttavia l’esperienza che feci mi piacque tantissimo. I clienti avevamo un approccio totalmente diverso rispetto al mondo da cui provenivo. C’era una considerazione diversa per quello che vendevamo. Mi chiedevano “per favore” di fare loro un preventivo per un viaggio. Mi pagavano prima. E la cosa più bella era che quando rientravano mi ringraziavano. Non mi era mai successo. Da una parte c’era tanta fatica e poche gratificazioni. Dall’altra un mondo di possibilità apparentemente affascinanti. Oltretutto a me è sempre piaciuto viaggiare. Quindi accettai la sfida e iniziai a dare una mano al mio amico.
Iniziò così un periodo di formazione sul campo. Da quel momento iniziai a guardare con occhio più attento, critico  e tecnico a tutti gli aspetti che iniziavo a trattare. Cominciai a  studiare e a viaggiare. Non avendo esperienza avevo, soprattutto nel primissimo momento, un approccio generalistico. Non conoscevo minimamente quelli che erano i passaggi industriali. Ma questo approccio mi è sempre stato stretto: fin dall’inizio mi ha affascinato l’idea di dare una mia impronta al viaggio e di personalizzarlo.

Con quali tipi di viaggio hai iniziato?
Ho iniziato con i viaggi individuali. I gruppi non li ho toccati all’inizio. Sui viaggi leisure facevo i miei test. E i risultati arrivavano.
Per i primi 5 anni non volli toccare il settore dal quale provenivo, quello delle imprese del beverage, e, di conseguenza, i viaggi aziendali e i gruppi. Si facevano gruppi consistenti e aspettavo di avere esperienza per affrontarli. L’obiettivo era quello: prepararmi per andare a toccare poi il settore che meglio conoscevo.

Quando hai portato in viaggio il primo gruppo?
Il mio primo gruppo è stato fatto con il CRAL Alitalia di Napoli. 180 persone. Un viaggio importante per quei tempi e per me. Ricordo perfettamente l’agitazione, la paura di sbagliare. Furono notti particolari [Maurizio nardi sorride]. Tutto andò bene e tornai con la consapevolezza che potevo iniziare. Mi resi conto fin da subito che per questo tipo di viaggi c’era bisogno di accompagnare e gestire il gruppo. E non lasciarlo a sé stesso.

Qual è stato il tuo approccio al mercato del travel?
Il mio approccio al mercato del turismo è stato egoistico, basato su di me, su quello che vedevo e intuivo e su quello che le persone mi dicevano delle loro esperienze di viaggi. II miei primi viaggi sono stati importanti e non me ne resi subito conto. Vendetti subito 2 viaggi in Polinesia di 20 giorni ciascuno. E ricevetti subito riconoscimenti. Le persone erano attente nella spesa ma ancora di più erano attente a star bene e se c’era da spendere qualcosa di più lo facevano.

Com’erano i viaggiatori in quel periodo, all’inizio degli anni ’90?
C’erano tante ingenuità. Ricordo episodi divertenti. Un cliente che sapeva di dover dormire in aereo e si mise il pigiama. Oppure un altro che si lamentò perché l’aereo non aveva fatto una fermata in un posto che voleva visitare, anche se non erano previste tappe nel viaggio, come se si trattasse di un treno o un autobus. C’era molta più innocenza e ingenuità. Un signore che si sposava e voleva fare un viaggio ma aveva poche possibilità, allora gli proposi Tenerife in mezza pensione. E lui mi disse: “Maurizio, ma mezza pensione? Neanche una intera?” Chissà cosa aveva capito… [sorride]

Quando hai aperto la tua agenzia di viaggi?
Quando ho aperto la mia prima agenzia? In realtà era un circolo associato ad una associazione nazionale. In quei primi anni di formazione (dal 1989 al 1996) non era facile avere licenze a Napoli. Era un mondo indicizzato e a numero chiuso, nel mio Comune non era previsto l’aumento di agenzie di viaggi; tuttavia non avere una vera e propria agenzia era un limite. Non potevo fare tante cose. Ero arrivato al punto di avere necessità di avere la licenza per crescere.

Per questo motivo sei venuto a Pisa?
Diciamo pure che a Pisa sono venuto quasi per caso. C’era un’agenzia di Pisa con cui collaboravo per organizzare congressi in Campania e spesso venivo a Pisa. L’agenzia era la Asti. Mi piacque fin da subito Pisa, un città tranquilla. E, aspetto importante, a Pisa c’era la liberalizzazione delle licenze. E considerando che io lavoravo già con i gruppi e non avevo bisogno di essere localizzato, decisi di venire a Pisa. Fu così che nel 1996 decisi di aprire qui.

Ti chiamavi già Samovar?
No. A Napoli avevo un altro nome: Master Travel Club. Quando decisi di venire a Pisa scelsi il nome SAMOVAR.
Anzi, il nome in realtà era Nadir Viaggi. Costituimmo una società con questo nome. Nadir, che era l’opposto dello Zenith. Ma quando presentammo la richiesta io e il mio socio di allora, ci fu bocciato il nome Nadir, a causa di una legge nazionale che vietava di prendere un nome di un’altra azienda del territorio. Scegliemmo altri nomi, tra cui Samovar. Perché proprio Samovar? Perché uno dei soci fondatori aveva rapporti con la Russia e come sapete il Samovar è la teiera più diffusa in quelle terre, celebrata dai grandi scrittori dell’Ottocento. Comunque, in realtà la cosa andò così: presentammo  5 o 6 nomi differenti alla Provincia di Pisa, che doveva poi decidere quale sarebbe stato più opportuno e scelse Samovar… e fu così che prese vita: Samovar di Nadir Viaggi di Maurizio Nardi.

È in quel momento che venne disegnato il logo aziendale?
Nacque il pittogramma. Ci piacque la freccia con dei volteggi, che per me rappresentava il cammino della vita, fatto di alti e bassi, di un continuo scendere e salire. Puntando però sempre in alto. Perché volevamo dare un’idea di qualità e di viaggio su misura già in quel momento. Puntavamo in alto.

Cosa significava per te puntare in alto?
Era soprattutto provare a distinguerci e a progettare viaggi unici per ogni cliente. Avevo capito che non volevo essere generalista. In qualsiasi catalogo trovi prodotti già fatti, che però si trovano in qualsiasi agenzia di viaggi. Un prodotto infatti, che non è unico, non è personalizzato. Distinguersi dal mercato generalista significa e significava  dare quel tocco che arricchisce e fa in modo che quel viaggio sia unico. Nei gruppi, per esempio, è stato il livello di servizi offerti. Abbiamo sì viaggiato con prodotti standard, ma portando un programma di animazione, che fosse esclusivo per i nostri clienti e non condiviso con gli altri ospiti che fossero in quel momento nello stesso  villaggio scelto. Inoltre abbiamo sempre portato in viaggio  uno staff specifico: dalla logistica all’animazione alla ristorazione. E questo ha sempre pagato. Anche nei momenti difficili, quando ci sono stati problemi.

Cosa intende per problemi?
Ci siamo trovati in alcuni casi a dover affrontare emergenze, difficoltà. La vera stoffa di un consulente che ti organizza la settimana più importante della tua vita o il viaggio della tua azienda si vede quando si presentano problemi seri. Un caso? Un viaggio in Marocco, prima della serata di gala, la serata più importante di tutto il viaggio. Una signora cadde e si lussò una spalla. E mentre veniva portata all’ospedale il marito ebbe un infarto. Una situazione grave, che poteva rovinare la vacanza :Dovevamo gestire la comunicazione con i familiari in Italia, gestire la situazione con gli altri ospiti e fare in modo che tutto proseguisse nel modo migliore.  Alla fine andò tutto bene, prima di tutto perché le persone che ebbero gli incidenti, il marito e la moglie, vennero soccorsi e oggi sono ancora nostri clienti. E poi anche gli altri viaggiatori poterono festeggiare, con la consapevolezza che era tutto sotto controllo. Questo è stato possibile grazie ad un team numeroso di accompagnatori esperti.
Casi come questo ne potrei citare altri, ma ripeto: la vera stoffa di un consulente di viaggi si vede quando si presentano problemi seri.

Come ti definisci nel tuo lavoro?
Sono un consulente di viaggi. Nel corso della mia esperienza ho svolto tutti i ruoli, da quelli operativi a quelli di progettazione. Questo mi è servito per valutare necessità, servizi e qualità. Oggi qual è il mio ruolo? È quello di coordinare un team di persone formate e che hanno la mia stessa visione del mondo dei viaggi. Mi ritrovo a fare molta meno operatività rispetto all’inizio, ma seguo sempre con attenzione ogni aspetto del viaggio e prima di tutto guardo alle competenze e alla formazione dei miei collaboratori, per dare qualità e unicità ad ogni viaggio che proponiamo, dal più semplice al più complesso

Quali sono oggi le destinazioni che rappresentano di più SAMOVAR?
Tutte e nessuna e tutte [sorride Maurizio Nardi]. Tutte a condizione che la nostra voglia di stupire non manchi. Immagina di andare all’Elba o ai Caraibi, non c’è differenza se il viaggio viene organizzato in maniera tale da essere  unico per la persona. Non c’è bisogno di fare migliaia di km o spendere follie se vuoi fare un’esperienza unica e memorabile. Ed è proprio in questo che noi vogliamo fare la differenza, offrendo un’esperienza che non sia legata soltanto alla destinazione, ma ad ogni dettaglio del viaggio, da quando si esce di casa a quando vi si ritorna.  Lo dico sempre: oggi andare dall’altra parte del mondo è semplicissimo e ci puoi andare anche da solo. È il come ci vuoi andare e l’esperienza che desideri fare che non sono alla portata di tutti e che si realizzano soltanto con un consulente professionista.

Quali sono le date importanti della storia di SAMOVAR?
Il 1997: è una data importante perché è l’anno in cui ci hanno autorizzato e siamo partiti. Da lì a poco riusciamo ad ottenere la licenza dalla IATA all’emissione di biglietteria aerea. Poi è iniziato un susseguirsi di gruppi, soprattutto nel settore beverage (il settore da cui provenivo).
Il 1999: anno in cui è stato assegnato un attestato di stima a Samovar, in quanto eravamo specializzati nel lavoro con il settore beverage. Molti clienti Incentive affidavano a noi anche le loro vacanze personali. 
Il 2003: anno in cui ho iniziato a interessarmi di più a Pisa e a voler restituire qualcosa alla città che mi aveva accolto e  ospitato. Ho iniziato a studiare il territorio, chi erano le altre agenzie, cosa offrivano, e ho percepito che c’era una grande potenzialità che non era né percepita né tantomeno sfruttata. Molti colleghi continuano ancora oggi ad avere un approccio generalista, negativo nei confronti del web. Da lì la voglia di fare qualcosa di più su questo territorio. L’esperienza e il riconoscimento ce l’avevamo a livello nazionale. Pensai: ok, cerchiamo di portare questa nostra esperienza nel mondo leisure anche a Pisa.
Il 2007: anno del cambio di sede. Siamo stati sempre qui, al Centro Forum, ma prima eravamo in un fondo più piccolo. Invece in quell’anno abbiamo acquisito questa sede, più spaziosa e più adatta a quello che eravamo diventati.

Ci sono persone in particolare che ti hanno ispirato e stimolato a crescere?
In tutti questi anni sono molte le persone che ho incontrato e che mi hanno dato spunti e stimoli a lavorare sulla qualità. Soprattutto clienti. Ascoltare i clienti è una fonte inesauribile di stimoli. Ritengo che quello che ti dice un cliente su un’esperienza fatta o sulle aspettative che ha prima di intraprendere un viaggio sia molto più significativo e utile che tanti discorsi sulle tendenze di viaggio. Questa è una caratteristica che ci rende unici: ascoltare e poi proporre esperienza all’altezza delle aspettative.

Dopo tanti anni cosa pensi di Pisa?
Pisa è un territorio importante: mi ha accolto, mi ha dato la possibilità di lavorare in tranquillità, anche rispetto ad un mercato come quello di Napoli. Mi piacerebbe poter mettere a disposizione la mia esperienza e l’esperienza di Samovar a quanti la vogliono provare. Noi non siamo la solita agenzia con bancone. In Samovar abbiamo tolto ogni barriera e cerchiamo di creare un’atmosfera intima e amichevole. Samovar è un’agenzia dove potersi sedere tranquillamente, come in un salotto di persone che hanno a cuore la settimana più importante del tuo anno: quella delle vacanze. 

Cosa significano 20 anni di storia?
Significa aver passato alti e bassi. I bassi: quando ho rilevato l’agenzia dai miei soci di allora. Poi nel 2001 il crollo delle torri gemelle. E poi oggi: non sono più solo e ho la squadra giusta, persone motivate e formate, che condividono la mia stessa visione del mondo travel.

Quest’anno SAMOVAR ha ricevuto un importantissimo riconoscimento internazionale, il Luxury Travel Guide Award. Come siete stati candidati e cosa significa averlo vinto? Partirei da come lo vivo. Come ho vissuto sempre i complimenti che mi facevano le persone. Finché non comprovavo che erano sinceri e veri non mi dicevano niente. Non mi sono mai cullato su premi o complimenti. Lavorando con passione, il riconoscimento dei miei clienti per me, per noi è il momento più importante. Vale più di tutto: “Grazie, sono stato bene!” “Era proprio il viaggio che volevo fare!” Tutto il resto è importante ma non mi emoziona.
Il premio cosa rappresenta? Un momento positivo sicuramente. La freccia del logo di Samovar che ci ha accompagnato e ci accompagnerà ancora e che punta sempre in alto. Un riconoscimento dato da una giuria di persone competenti è sicuramente importante e oggi lo prendiamo come un momento di verifica. Ma anche per dire che stiamo facendo quello che volevamo fare: puntare in alto.